Fatturato da record quello realizzato lo scorso anno da Rolex. La maison svizzera di orologi, non quotata, per policy non diffonde mai dati. Il presidente del consiglio di amministrazione, Bertrand Gros, ha annunciato in una intervista esclusiva, che l’ultimo esercizio si è chiuso in maniera eccezionale:
«Mai una tale performance è stata realizzata prima d’ora nella nostra marca. È storica»,
ha dichiarato Gros. I bilanci della casa di Ginevra sono riservati agli azionisti. Stavolta, però, un’eccezione. Un modo per dire grazie al management che in autunno cederà il timone a una nuova classe dirigente: «Il nostro Ceo, Gian Riccardo Marini, e con lui tutta la direzione, ha raggiunto un obiettivo molto rimarcabile e ha messo Rolex in una posizione sana, più sana che mai prima». Gian Riccardo Marini, classe 1947, milanese. ha costruito tutta la sua carriera nel mondo Rolex, fino a quando, nel 2011, è diventato Ceo della maison.
Ora si accinge a lasciare la poltrona di vertice a Jean-Frédéric Dufour, 45 anni, già Ceo di Zenith. Un ricambio per motivi d’età. «La direzione generale ha scelto la nuova generazione che andrà a dirigere l’impresa per i prossimi 15-20 anni», ha spiegato Gros a Le Temps. Rolex fa capo a un trust, una Fondazione, creata nel 1960 dal fondatore, Hans Wilsdorf, che al momento della sua morte ha voluto lasciare un testamento di continuità
gestionale.
In Svizzera molte case di produzione sono indipendenti, fanno capo a famiglie o fondazioni e non sono quotate. Saldamente ancorate alla fascia alta del mercato, con basi finanziarie solidissime, difficilmente potranno diventare il target di nuove acquisizioni, sostengono gli analisti. Se alcune case indipendenti hanno già predisposto il ricambio generazionale, che le blinda rispetto a scalate ostili, nel caso delle Fondazioni il ricambio è garantito dai manager che scelgono il più bravo, il più promettente nel perseguire le finalità della Fondazione stessa: non il profitto, ma la perpetuazione e l’accrescimento.
Fondazioni come quella di Rolex sono la rappresentazione concreta dell’idea messa a punto da John K. Galbraith delle imprese capitalistiche democratiche: “tecnostrutture” le chiamava Galbraith, nel senso non di comunità di tecnici ma di “competenze tecniche”, che vanno dal marketing, alla logistica, alla tecnologia, al commerciale. Il gruppo svizzero di orologi da sempre si caratterizza per la completa identificazione del nome dell’azienda con il marchio e Rolex è diventato il brand più venduto al mondo, il più forte per immagine. Swatch, per esempio, è il numero uno mondiale del settore in termini di fatturato, ma il giro d’affari globale è il frutto della somma di una costellazione di marchi.
La forza di Rolex, invece, è sempre stato il Rolex. Gli analisti di Vontobel, non a caso banca d’affari svizzera, ogni anno elaborano delle stime considerate dal mercato più che attendibili. Secondo Vontobel nel 2013 Rolex, terza per fatturato globale, svetta però in cima per penetrazione del brand, con vendite record per 4.300 milioni di franchi svizzeri, 3.500 milioni di euro, dei soli Rolex. Il fatturato globale è stimato tra 4.600 di Vontobel e i 4.500 di Kepler Cheuvreux. Lo scorso anno la maison ha puntato a valorizzare Tudor, il marchio di prezzo più basso, ben conosciuto in Asia, ora lanciato anche in Usa e Gran Bretagna. Alla fiera di Basilea di quest’anno la collezione Cellini con una nuova gamma di 12 orologi, ha fatto centro sul mercato.
Un segnale che anche il 2014 promette bene.